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venerdì 11 aprile 2008

Guccini per "Domenica fai il bis con L'Unità"

«Domenica, fate qualcosa di buono: comprate due copie dell’Unità. Una la regalate, l’altra la infilate nella tasca posteriore del pantalone. Non so se servirà a far vincere le elezioni a Walter Veltroni, ma di sicuro si entra per sempre in una vecchia canzone che si intitola “Eskimo”... ». A parlare è Francesco Guccini, autore di innumerevoli canzoni che la sinistra ha storicamente fatto sue, da «La Locomotiva» a «Eskimo». Proprio in quest’ultima viene citata l’Unità: «Con l’incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci in tasca l’Unità... ». Un giornale, dice Guccini, «che parla chiaro, senza ipocrisie».

Azzardiamo: cos’è che lega, al di là delle reciproche passioni, una testata come l’Unità a Guccini? Toglietevi dalla testa che questa sia la prima domanda che rivolgiamo al più grande troubadour d’Italia. Secondo noi, ciò che accomuna questo quotidiano e Guccini è l’epica. Il primo la vive, il secondo la canta ma la minestra è la stessa. Tanto è vero che, lo si è ricordato in altri tempi, la sola volta in cui il nome dell’Unità è comparso nel testo di una canzone di larga diffusione è stato quando Francesco ha avuto la bellissima idea di citare il giornale fondato da Gramsci in quella commovente carrellata di immagini ruggentemente démodé titolata «Eskimo». Flashback: il brano racconta, per gli infelici che non lo sanno, cos’è stato il tempo andato, il suo e - a dispetto del fatto che lui si senta sotto il profilo emotivo il più vecchio del mondo - molto anche il nostro. Un tempo «barbaro» per durezze e per quella straordinaria capacità distribuita a piene mani a tanti giovani che allora avevano vent’anni «o giù di lì» di «vivre débout» di vivere stando in piedi, ben dentro quel tempo senza tempo, che se ne fregava della fisica scadenza dell’orizzonte in cui l’esistenza si consumava e si consuma. «Con l’incoscienza dentro al basso ventre - recitava Guccini - e alcuni audaci in tasca l’Unità»: rieccoci nella barbarità di una doppia, guascona «cazzutaggine», davanti e di dietro. Davanti c’era l’argentina arroganza di un sesso «libero» esercitato anche come professione di fede nei confronti di una teoria della liberazione che non aveva fatto i conti con l’Aids e che vantava una sua impertinente, politica dimensione; dietro, c’era quell’altra «erezione», provocante al limiti dell’oscenità sociale, costituita dall’Unità ripiegata tre volte e infilata, con la «U» della testata bene in vista, nella tasca posteriore dei bluejeans. Avere l’Unità in tasca poteva allora significare il più delle volte essere guardati male quasi dappertutto, non riuscire a trovare un posto di lavoro, far fatica a ottenere un alloggio pubblico, farsi diffidare dal preside della scuola, non essere invitato alle feste di compleanno delle amiche che avevano genitori «perbene», farsi diffidare dal datore di lavoro, essere segnalato alla polizia politica da qualche zelante cittadino. E non ottenere il visto per gli Stati Uniti, nel caso qualche compagno avesse avuto voglia di toccare con mano quel magnifico paese in cui gironzolavano Dylan e Peter, Paul and Mary, Joan Baez e Gregory Corso, Chomsky e William Borroughs.

Alla faccia del «consociativismo» che ora molti rimproverano al vecchio Pci. Era davvero una provocazione questo giornale...
«Non mi far fare il vecchio saggio: non mi sembra che nel tempo di Berlusconi la provocazione sia venuta meno. Anzi, nessuno prima aveva detto che l’Unità era un giornale assassino o terrorista. Invece, questo tipo di accuse è fatto recente. Si potrebbe dire che si è fatto un salto indietro ma non ne sono convinto...»

Nemmeno io: per la strada le cose son cambiate, tra la gente della vita quotidiana l’Unità non è più un saio da appestato...
«Mentre, invece, per la politica sì. Lo è ancora per la grande scena allestita da questo venditore molto ricco. Insomma, la testata mi sembra inserita a forza in un indice ufficiale che tiene ormai poco conto della realtà...»

Se aggiungi che, in virtù di questo indice all’Unità viene ancora negata la pubblicità che le spetta per le sue dimensioni e la sua diffusione, il quadro mi pare abbastanza fedele...
«Sarà vero che i tempi sono mutati ma non ci scommetterei che l’Unità non abbia nemici anche dentro la sinistra. Non ho mai capito perché Furio Colombo sia stato tolto dalla direzione. Chi è che ha voluto fare un favore a Berlusconi? Padellaro ha mantenuto la rotta, per fortuna, ma quella “decapitazione” si capiva benissimo cosa voleva dire...»

Torniamo all’epica, che forse è meno dolorosa. Secondo te, cos’è che fa dell’Unità ancora un giornale di “lotta”?
«Il coraggio, credo. Sono affezionato a due quotidiani, Repubblica e l’Unità, li leggo ogni giorno da molti anni. Parlano chiaro, senza ipocrisie e ci vuole coraggio per farlo. Le altre testate, mi pare, lasciano vedere di seguire con grande cautela ciò che accade, lo spostamento degli equilibri di potere nel paese; comunque vada non vogliono restare tagliati fuori e questo non originale modello di comportamento lo chiamano “indipendenza”. Ciascuno ha i suoi obiettivi e il suo vocabolario...»

Forse non siamo tutti d’accordo sull’interpretazione delle cose di oggi. Tra questione dei rifiuti in Campania e Alitalia, si ha per esempio la sensazione che questo paese non sia più in grado di “mantenersi”, che non abbia più le risorse per pagarsi il suo tenore di vita “occidentale”, che quindi può essere venduto a pezzi...
«Credo che siano più sensazioni ben motivate che condizioni oggettive. Viviamo un momento di sbandamento, economico, politico, psicologico, e tutto appare, a chi ha a cuore la consapevolezza e la libertà, grigio e senza speranza. Freniamo l’ansia e guardamoci attorno. Lo sai che, tanto per dirne una, nel Pisano c’è un comune che è diventato ricco trattando il riciclaggio delle spazzature? Basta organizzarsi. Bassolino avrà anche le sue responsabilità, ma, sacrificato lui, pare che la “bomba” sia esplosa dal nulla e non è vero. Calma e sangue freddo: ora abbiamo un problema, impedire alla cultura di Berlusconi di tornare a governare la cosa pubblica. Guarda la sceneggiata che ha fatto sull’Alitalia e sulle cordate alternative all’Air France: questo è il suo stile di governo mentre ancora non sta al governo. Pensa dopo. Se vince lui, fra una decina di giorni di problemi ne avremo una quantità esagerata...»

Pessimista?
«Non so cosa pensare. So quel che voglio. Vorrei che Veltroni vincesse, è il solo che può battere questa destra, è incontestabile. Ma vorrei anche che vincesse senza quei margini assurdi che hanno tolto a Prodi il diritto di governare fino in fondo. E per un settimana non ho alcuna intenzione di sganciarmi da questi semplici scongiuri. Se vogliamo cambiare questo paese quel tanto che serve a garantire un minimo di serenità alle nuove generazioni, conviene vincere, davvero...»

Il tuo pubblico sta su questa barricata?

«A quel che sembra, sì. A dispetto di una parte del paese che sbraita mossa da un egoismo da giardinetto privato, che si è fatta i soldi sull’onda dell’euro sbancando milioni di lavoratori, che ora straparla con l’arroganza del nuovo ricco sulla testa di un mare di nuovi poveri».

Cantavi: “col ghigno e l’arroganza dei primi della classe”
«Ah, ero io che cantavo questo?»

Prego: professor Guccini, vada pure con lo spot...
«Benissimo: domenica, fate qualcosa di buono: comprate due copie dell’Unità, una la regalate, l’altra la infilate nella tasca posteriore del pantalone».

Pare che se si fa così si vincono le elezioni
«Questo non lo so, ma di sicuro si entra per sempre in una vecchia canzone che si intitola “Eskimo”».

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