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sabato 12 aprile 2008

Berluscomiche

Fortuna che la campagna elettorale è durata così poco, perché dallo scioglimento delle Camere (6 febbraio) il cavalier Berlusconi è riuscito a farsi fraintendere una sessantina di volte in 60 giorni. La cordata per Alitalia, con o senza figli. Le precarie promesse in spose a Piersilvio. La lotta e/o elogio all’evasione fiscale. Veltroni maschera di Stalin. Le grandi intese con la maschera di Stalin, I brogli. Le schede. La guerra al Quirinale. Il voto agli immigrati (pesce d’aprile). La sinistra cogliona, anzi no. Mastella in lista, anzi no. Le donne in cucina a fare le torte. Ruini alleato per il voto disgiunto. E il Viagra, e le veline, e noi maschi latini. E il nuovo Contratto con gli italiani: non pervenuto. E la sfida in tv a Veltroni (»lo straccio chiunque»): mai vista. E i giornali della Fiat che «non stanno né di qua nè di là», dunque non sono liberi, diversamente da quelli suoi e del Ciarra. Strepitoso quando ha promesso in tv (almeno due volte) «il traforo del Frejus», purtroppo già fatto dal 1871. Favoloso quando s’è attribuito una statura di «un metro e 71». Grandioso quando ha rievocato, dinanzi alla mummia di Riotta, gli sforzi sovrumani compiuti per trattenere Enzo Biagi, purtroppo fuggito dalla Rai con la liquidazione. Fantastico quando ha negato l’editto bulgaro e le corna al vertice di Caceres. Mitico quando ha annunciato che, se lo intercettano un’altra volta, espatria. Meraviglioso quando ha eccepito sulla cultura di Antonio Di Pietro (»La laurea gliel’han regalata i servizi»), per poi sfoggiare la propria citando «San Pietro sulla via di Damasco» (lui la laurea l’ha presa per corrispondenza?). Purtroppo Air France, non abituata al personaggio, l’ha preso sul serio e s’è ritirata da Alitalia. Uòlter invece lo conosce e ha ignorato i suoi deliri, evitando di restare impantanato nella solita girandola di detti e contraddetti. Ma il suo lungo silenzio sull’avversario ha fatto sottovalutare a molti indecisi i pericoli di un Berlusconi III, con relativi conflitti d’interessi (aumentati con i nuovi processi per corruzione, con l’ingresso in Mediobanca e con l’acquisto di Endemol che fornisce programmi alla Rai) e una corte dei miracoli ancor più scombiccherata dell’ultima: in lista col Pdl, oltre a una ventina di pregiudicati, ci sono persino Maurizio Saia, che diede della “lesbica” a Rosy Bindi; e il trio Barbato-Gramazio-Strano, che festeggiarono a sputi, champagne e mortadella la caduta di Prodi in Senato e il Cavaliere aveva giurato di non ripresentare. Mancano le parole? Basta copiare quelle di Indro Montanelli, anno 2001: «Il berlusconismo è la feccia che risale il pozzo, la destra del manganello». O l’appello firmato sette anni fa da
Bobbio, Galante Garrone e Sylos Labini: «A coloro che, delusi dal centrosinistra,
pensano di non andare a votare diciamo: chi si astiene vota Berlusconi. Una vittoria del Polo minerebbe le basi stesse della democrazia». Purtroppo i grandi vecchi sono morti, e anche noi ci sentiamo poco bene.
Marco Travaglio

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