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giovedì 24 aprile 2008

Difendiamo la storia e i nostri valori

E sul 25 Aprile rieccoli. Del resto c’era da aspettarselo, dopo le sortite di Dell’Utri sui manuali di storia, gli attacchi a Napolitano di Libero come «capo della Casta» figlio della prima Repubblica, e l’«ipotesi di scuola» di Berlusconi, per liberare il Quirinale dall’ inquilino che sta «di là».

Rieccoli all’attacco su un loro classico cavallo di battaglia: la delegittimazione di Resistenza e Liberazione. Degradata la prima a faida civile con crimini rimossi, non del nazifascismo ma della sinistra. E la seconda a «festa qualsiasi», ignorata dagli italiani, non condivisa, e come tale degna di sparizione.

Così dopo i primi assaggi di cui sopra, alla vigilia del 25, il Giornale apre i fuochi. Contro il «mito dell’antifascismo»: «fascisti e antifascisti? Tutti fascisti in fondo». E contro il «senso» che la festa non ha più, sostenuta com’è solo dalle oltranze violente antifasciste, eredità di un passato che non muore. Ma a sostegno della tesi, due bufale plateali ora. Visibili a occhio nudo. La prima è un ridicolo sondaggio del Giornale, pomposamente presentato come attendibile da Giordano Bruno Guerri. Sondaggio con un campione di mille unità, e domande «imbeccate» del tipo: «Il 25 aprile non lo sento tanto come festa nazionale italiana. È d’accordo con questa frase?». Oppure: «La festa del 2 giugno unisce gli italiani più del 25 aprile. È d’accordo». Ovvio che le risposte, per più della metà, combacino esattamente con la domanda. Il che fa esultare di gioia Guerri e i titolisti: «Il 25 Aprile che divide». Come pure scoperta è la manipolazione che sempre il quotidiano del Biscione compie sul comunicato unitario dell’Anpi e di varie sigle partigiane, incluse quelle sindacali. Dove, nell’annunciare la manifestazioine nazionale a Milano sulla Liberazione, si legge della Costituzione «attuale e vitale» frutto della Resistenza, e «difesa dalla stragrande maggioranza degli italiani». Del pericolo di smarrirne la sostanza e i valori, sventato dall’ultimo Referendum. E dei «rischi per la tenuta del sistema democratico», in una con le evidenti difficoltà «per il suo indispensabile rinnovamento». Parole normali, da inquadrare in un contesto pacifico e civile più ampio, e che non si riferiscono affatto al responso elettorale di dieci giorni fa. Come invece il Giornale suggerisce goffamente: l’Anpi vuole fare appello ai partigiani e alla piazza violenta contro la destra! Bensì al dato innegabile, registrato da tutti i comentatori, che l’Italia è in una stretta delicata. Finanziaria, istituzionale e politica. Dove il bipolarismo resta selvatico, il debito incalza e le risorse scarseggiano. Mentre i rischi della disunità d’Italia sono grandi. Visto che il sistema paese è diviso, tra aree in recessione e rivolta dei territori del nord. E con la Lega che chiede di destinare il 38% dell’Irpef alla Padania.

Dunque appello strumentale, con demonizzazione preventiva delle celebrazioni del 25 aprile e assalto al cuore simbolico dell’eredità antifascista. Per spiantarla dal codice genetico di questa Repubblica, la prima veramente democratica della nostra storia. E in virtù del suo assetto parlamentare, universalistico, fondato sull’intreccio tra diritti civili e diritti sociali.

Il copione è già visto, e ben presto a destra torneranno anche le litanie ufficiali sull’esigenza di abolire il 25 aprile, dopo l’anticipo mediatico. Conviene però tornare a domandarsi perché a destra insistano con tanto furore su questo tasto. Perché ricomincino sempre daccapo. E perché guarda caso Silvio Berlusconi, non abbia ancora mai partecipato ad una festa della Liberazione. La risposta la conosciamo già. La destra, per la terza volta al governo e senza l’argine dei post-democristiani moderati, si sente estranea e ostile all’eredità della Resistenza e della Costituzione. Reputa «comunista» la prima, e «sovietica» la seconda (parole di Silvio). Nel caso migliore ritiene che Resistenza e Costituzione vadano depurate dai germi di sinistra o di centrosinistra. Eliminando contenuti e forma del lascito in questione. Quanto alla forma, viene fatta valere l’idea che è stata l’«egemonia comunista» a conferire centralità storica alla stagione ciellenista e costituente. Occupando lo spazio della memoria e ipotecando tutta la vicenda del dopoguerra, inclusi «consociativismo» e rimozione di crimini. Sui contenuti invece, la destra ha di mira esattamente l’impianto parlamentare da un lato, e quello sociale e «gius-lavoristico» dall’altro. Insomma l’obiettivo resta spazzare via le Repubblica dei partiti e la Repubblica fondata sul lavoro, con garanzie e diritti annessi. Naturale che per conseguire tutto questo la destra di governo debba condurre una battaglia senza tregua, per «sbattezzare» la nostra democrazia dai suoi crismi originari. E «battezzare» con altro «rito» lo stato democratico. Come? In chiave liberal-liberista, decisionista e federal-corporativa. Con al centro un dominus imprenditore privato, che imprima allo stato uno «stigma» proprietario e aziendale. E che sia personalmente garante delle spinte centrifughe e corporative, territoriali e non solo. Ecco quel che può diventare «regime» e che minaccia di rovesciare tutto il suo peso sugli ordinamenti, in virtù di una forza parlamentare mai conseguita fino ad oggi. La novità, lo si accennava prima, sta nel fatto che il centro moderato di una volta si è molto indebolito. E non fa più da contrappeso interno, a una destra radicalizzata e verosimilmente senza freni. Si spiega dunque così l’impennata preventiva sul 25 aprile, irragionevole e smodata a prima vista. In fondo, dal loro punto di vista, potrebbero anche lasciar decantare la questione, se sul serio mirassero a intese bipartisan. Di contro scelgono l’attacco, con l’artiglieria mediatica, per spianare il terreno alla (loro) politica. Bene, è necessario rilanciare e in modo giusto. Prima di tutto sull’eredità della Resistenza, valorizzandone a pieno il significato di «matrice democratica» e unitaria del nostro stato. Ma al contempo occorre contrastare in simultanea populismo e localismo. «Premierato» e presidenzialismo. E a difesa dei diritti del lavoro, e delle regole democratiche in economia. Si gioca qui la partita del 25 Aprile, che non è una banale riccorrenza, né un mero trastullo storiografico. Ma è, e resta, la nostra lotta, il bandolo della nostra libertà, ieri come oggi. E a cominciare da domani, riconquistando Roma al centrosinistra, con la nostra storia. Contro quella sia pur «revisionata» di Alemanno.

L'unità 23/04/08

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